La teoria del plusvalore di Carlo Marx base viva e vitale del comunismo
( «l’Ordine Nuovo», 1924, N° 3 - 4, 5 e 6 )
Sommario :
1.
L’applicazione della teoria dei plusvalore ai fenomeni economici
Lavoro necessario e sopralavaro
Il processo di circolazione
2.
Le origini e le basi dei comunismo critico e l’economia borghese
L’analisi e
L ‘introduzione del concetto di valore
Dalla teorica del plusvalore al programma del comunismo
Marxismo e scienza,
economica ufficiale
3. Il neorevisionismo di graziadei ovvero il comunismo
della sesta giornata
Il libro che il compagno Graziadei (1) ha creduto di dedicare a combattere la teorica economica di Marx avrebbe dovuto determinare una più attiva discussione, non tante sul libro stesso, quanta sulla portata e l’importanza dei concetti marxisti posti in dubbio da Graziadei nella ideologia del movimento comunista moderno. Questa discussione è fmora mancata. Anche chi scrive non pua dedicare ad essa né il tempo occorrente ad un libro, né la competenza nelle discipline economiche necessaria quando si trattasse non solo di esibire i titoli ufficiali che a tanto autorizzino, ma altresì di svolgere sistematicamente il difficile e vasto tema. Quanto segue conterrà le osservazioni, più immediate che ogni seguace del marxismo, che non ne shi un fallace interpretatore, deve sentirsi portato el formulare alla lettura delle pagine con cui Graziadei ha fmalmente svolto le sue note opinioni, o una parte delle sue note opinioni, divergenti dalla dottrina accettata da tutti gli altri teorici e militanti del movimento comunista.
Le
osservazioni riguarderanno tre punti. Il primo concerne l’applicabilità della teoria
del valore di Marx alla spiegazione delle moderne fasi delle sviluppo
capitalistico; il secondo, il posto che occupa la teoria del valore
nell’insieme della teoria marxista, e di tutto il comunismo marxista; il
terzo, la spiegazione di una attitudine come quella che pretende di respingere
la parte economica, e accettare quella «storico-politica» del marxismo. I
compagni che leggeranno dovranno perdonarmi se, senza raggiungere la
compiutezza e l’evidenza di una trattazione scientifica, saro probabilmente in
qualche parte della polemica condotto dall’argomento ad essere difficile. Non
io certo pretendo di dire in merito l’ultima parola: credo che altri compagni,
ed organismi, del Partito e dell’Internazionale, dovranno contribuire alla
definizione del dibattito.
1.
Cominciamo a
chiarire che Graziadei respinge, insieme alla teoria del valore, anche quella
del plusvalore o sopravalore: la prima infatti è quella che spiega il valore
delle merci come lavoro in esse «cristallizzato», e che Graziadei si compiace
di chiamare sgraziatamente «ricardiano-marxista», la seconda è quella che fissa
nel processo produttivo capitalistico la creazione del valore delle merci per
effetto del lavoro e ne traccia le leggi, ed è opera originale ed esclusiva di
Carlo Marx. Graziadei sembra voler indurre in equivoco nel dire, a pagina 22: «I
marxisti (...) temono che cadendo tale teoria (del valore, di
Ricardo-Marx) cada anche la teoria dei sopralavoro e dei «sopravalore», e di
conseguenza quella spiegazione dei reddito capitalistico che è così
essenziale per la dottrina comunista». Ma in realtà Graziadei non fa grazia
neppure alla teoria del «sopravalore», o plusvalore, non rispetta una teoria
del sopralavoro, che non esiste in Marx come cosa distinta dalla prima, e
sostituisce a tutta la spiegazione marxista del processo di produzione
capitalistico una sua teoria del «sovraprezzo» che contiene diversissime
conclusioni sulla formazione del profitto. Egli poco dopo dice, infatti: «il
latto e la teoria dei sopralavoro sono concepibili e dimostrabili
indipendentemente dalla teoria dei valore...». E qui è chiaro che la
teoria, del «solo» Marx, sul plusvalore, è gettata a mare. Quella teoria del
sopralavoro, che Graziadei mostra di adottare, è poi evidente che consiste non
già nella definita e complessa dottrina che Marx applica al meccanismo
dell’azienda capitalistica, ma in una vaga teoria generale, esclusivamente
qualitativa, applicabile a tutti i tipi storici di economia (si veda a pagina
28-29), che nulla ha a che fare colle leggi del plusvalore scoperte da Marx nel
processo genuinamente capitalistico di produzione. Tutto il resto del libro
sta poi a provare che la stessa spiegazione marxista del processo formativo
del profitto capitalistico viene ripudiata da Graziadei: al posto dei
plusvalore compare il sovraprezzo, e questo sovraprezzo va a formare il
profitto, non solo in quanto è figliato da sopralavoro dei salariati (non è
dunque una teoria del sopralavoro che salta fuori) ma in quanto è pagato anche
dai ... consumatori. Questa asserzione richiama le più brucianti pagine della
polemica di Marx contro i giochetti degli economisti ortodossi. Ma non
anticipiamo sulla conclusione a cui tendiamo, che cioè Graziadei debba
rinunzare a salvare la capra del comunismo e i cavoli della sua economia
universitaria, e che, per conto nostro certo, ma non sappiamo se anche per
conto suo, sono i cavoli che devono essere spietatamente sacrificati.
Chi avesse
qualche dubbio su questo accenno al succo del libro di Graziadei, può
verificare quanto è detto in fine, a pag. 202-203, sulla insufficienza del
sopralavoro a spiegare il sovraprezzo e a fornire una misura del sopravalore.
Con ciò vogliamo solo stabilire, che si deve sostenere e difendere contro le
critiche di Graziadei, non la sola teoria «ricardiano-marxista» del valore, ma
la dottrina del plusvalore di Carlo Marx e di nessun altro, chiave di volta della
nostra critica alla economia borghese, tesi centrale della maggiore opera del
nostro maestro: Il Capitale.
La maniera colla
quale Graziadei prende ad esaminare l’applicazione della teoria del plusvalore
ai fenomeni economici è tale, che esigerebbe una preventiva esposizione
completa della teoria stessa, quale Marx la ha definita, e non quale i vari
critici se
Ecco
l’esempio: si suppone che l’unica spesa dell’imprenditore sia il salario degli
operai. Accettiamo la supposizione, poiché essa ben collima colla teoria di
Marx: il plusvalore è relativo al solo capitale «variabile», ossia a quella
parte del capitale che è destinata a pagare i salari, mentre il «profitto» va
riferito a tutta la massa del capitale, compreso cioè anche il capitale
«costante», che copre le altre spese per materie prime, logorio di utensili,
etc. La discussione resta
Fermiamoci su
questo esempio, per spiegare un poco che cosa è la teoria del plusvalore e per
confutare questa gratuita asserzione di Graziadei: il sopralavoro è rimasto
lo stesso. Il lettore che abbia dubbi sulla fedeltà alla esposizione di
Marx dei due contendenti, può confrontare il calcoletto che Marx stesso dà come
esempio, nel primo volume del Capitale, capitolo VII, paragrafo l. Dio
ci faccia grazia di adoperare lettere, come nell’algebra.
ln una data
fabbrica gli operai facciano o ore di lavoro. Ricevano un salario
giornaliero di s lire. Producano in un’ora m chilogrammi di una
data merce. Facciamo il bilancio di quello che avviene per il lavoro
giornaliero di un operaio. Esso costa al capitalista (l’imprenditore, dice più
civilmente Graziadei, perché le funzioni possono essere diverse ...) un
capitale sala:ri che è proprio s. Questo vuol dire che per avere il
capitale totale si dovrà tener conto del numero degli operai, delle giornate
lavorative nel periodo che si consideretà, ecc. Siccome noi cerchiamo dei
«rapporti», ci basta il calcolo su un singolo operaio e un giorno di lavoro.
Con s lire (fatta astrazione da ogni altra spesa per semplicità)
il capitalista ottiene una quantità di merci che è m volte o. Questa
quantità di merci è venduta in generale sulmercato a un prezzo tale, da
ricavarne più di s, che è il costo, per il capitalista, della quantità m
x o. Di qui il guadagno del capitalista sul lavoro dell’operaio. Come
Marx determina matematicamente il montante di questa quotidiana
«espropriazione» (tutti termini che non fanno per la economia ben educata di
Graziadei, che conosce costi, margini, differenze, e altri tennini analoghi
...)?
Il salaria
che il lavoratore ha ricevuto rappresenta il prezzo della sua «forza di
lavoro», ossia l’equivalente dei mezzi di sussistenza che l’operaio consuma per
mantenere in efficienza la sua macchina umana. Ora questo salario è inferiore
al valore della merce che l’operaio ha prodotta nel tempo corrispondente (e se,
nel caso più generale, avessimo tenuto presente il capitale costante oltre il
capitale salario, è inferiore all’incremento di valore che le materie prime
acquisiscono, pagate tutte le spese, per l’opera del lavoratore). Se l’operaio
lavorasse «per sé», lavorerebbe tante ore da coprire solo, col valore dei
prodotto, il suo salario: ossia lavorerebbe di meno. Questo tempo di - lavoro è
il lavoro necessario. Tutto il tempo successivo del lavoro è «fatto per
il padrone» e si chiama sopralavoro (qui, si ricordi, riesponiamo solo, alla
meglio, la teoria di Marx). Come fare a sapere quanto è il lavaro
necessario? Si dovrebbe teoricamente calcolare il costo del mantenimento di
un operaio per un giorno, e questo costo esprimerlo in ore di lavoro: nelle ore
di lavoro necessarie a produrre tutti gli oggetti di consumo che il lavoratore
ha adoperati per vivere un giorno. Un calcolo così fatto è impossibile, e inutile
agli effetti della dimostrazione e applicazione della teoria di Marx. Si
procede altrimenti, tenendo presente quel concetto fondamentale che Graziadei,
come vedremo, baratta ogni momento, che si tratta di lavori, di valori, di
prezzi, che rappresentano una media saciale per una callettività ecanamica
prettamente capitalistica. Si suppone cioè che l’operaio si possa procurare
quanto occorre al suo consumo aIle condizioni stesse, facendo ... un affare
della stessa bontà di chi compra la merce presso l’imprenditore per il quale
l’operaio lavora. Si ragiona come se si dicesse, più popolarmente, e in modo
evidente anche per chi non abbia chiara il concetto di valore: se gli
operai di quella fabbrica non avessero padrone, fossero, poniamo, in
cooperativa, quanto dovrebbero lavorare per produrre proprio tanta merce che,
venduta, dia loro il salario s, e non di più? Questo tempo sarà illavoro
necessario. E’ semplicissimo. Noi sappiamo che le merci prodotte da un operaio
sono m chilogrammi per ora. Sia p il prezzo a cui si vendono. Per
ricavare la somma s si dovrà lavorare un numero di ore o’, tale
che m moltiplicato p, moltiplicato o’, sia uguale a s.
Allora il lavoro necessario, o’, che risulterà minore di o,
si calcola dividendo s per il prodotto di m x p.
Quale sarà il
sopralavoro? Evidentemente o mena o’. Che cosa intenderemo (si
capisce che siamo tornati al caso in cui il padrone c’è) per plusvalore? La
differenza tra il ricavato della vendita del prodotto, che è m x o
x p, e il salario s che per esso ha pagato il capitalista. E per
saggio del plusvalore, secondo Marx? Il rapporto di questa differenza alla
spesa salari, che nel nostro casa è sempre s.
Quanto
abbiamo stabilito ci permette di scrivere una formoletta. I dati che rileviamo
dalla fabbrica sono o, m, s, p. Vogliamo trovarne il rapporto al
lavaro necessario, a (che si è visto come si calcola), del sopralavoro, e
d’altra parte il rapporto del plusvalore alla spesa salari. Questi due rapporti
verranno eguali:
|
|
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s |
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o - |
----------- |
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sopralavoro |
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o - o' |
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m x p |
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m x o x p -s |
---------------------- |
= |
---------- |
= |
------------------ |
= |
---------------- |
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lavoro necessario |
|
o' |
|
|
s |
|
s |
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|
|
|
----------- |
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m x p |
|
|
L’ultima frazione
si può scrivere per quel che abbiamo detto:
plusvalore |
------------------- |
capitale salari |
ossia i due
rapporti che ci siamo proposti di determinare sono uguali. Chi non capisce la formula,
capisce lo stesso che l’operaio è sfruttato dal padrone e che questa non è solo
una affermazione approssimata e qualitativa, ma significa, con le parole di
Marx: Il saggio del plusvalore è la esatta espressione del grade in cui il
capitale sfrutta la forza di lavoro.
Torniamo ora
all’esempio Graziadei. Nel primo caso Graziadei ci dà la spesa salari, non per
un operaio e un giorno, ma per unità di mese, in 90 centesimi, e il prezzo di
vendita in 1 lira. Egli determina il sopralavoro e il saggio del plusvalore, a
parte le mende materiali già fatte al suo calcoletto, proprio col metodo che
abbiamo indicato: non ci fermiamo a verificarlo più a lungo. Ma, nel seconde
caso, egli non si cura affatto di applicare il procedimento di calcolo, pur
così evidente, ma butta tra le gambe al lettore la conclusione: il sopralavoro
resta lo stesso. Invece ognun vede che, se il prezzo è cambiato, cambia tutto
il risultato del calcolo. Con la spesa salari di centesimi 90 si ottiene un
valore di prodotti 1,80? Si deve ora dire: il rapporto del sopralavoro al
lavoro necessario è di
m x o x p - s |
|
1,80 – 0,90 |
|
|
------------------------ |
= |
------------------------ |
= |
100% |
s |
|
0,90 |
|
|
Nell’applicare
la formoletta non abbiamo fatto che considerare tutti i termini divisi per la
stessa quantità di m moltiplicato o, di cui m non è
precisato nell’esempio, ma che lascia inalterato il rapporto. Cioè il lavoro
necessario è diminuito, il sopralavoro è cresciuto, il loro ràpporto è
perfettamente uguale, anche in questo secondo caso, a quello trovato per il
plusvalore.
Chi questo
non veda attraverso le formule stabilite, lo intende dal criterio empirico
accennato: saliti comunque i prezzi di vendita, se non ci fosse padrone, gli
operai potrebbero benissimo, intascando lo stesso compenso giornaliero, ridurre
notevolmente le ore di lavoro: la giornata lavorativa in questa ipotesi
corrisponde a quello che si chiama lavoro necessario: tutte le ore in più sono
sopralavoro, aumentato nel secondo caso, come è aumentato il profitto
dell’imprenditore, e nella stessa ragione.
Graziadei non
può certo contestare che il sopralavoro non si calcoli che dal prezzo di
vendita, sia perché Marx così la calcola, sia perché a lui stesso, a Graziadei,
avendo fatto comodo di così calcolarlo nel primo esempio, corre obbligo di non
cambiar metodo nel secondo. La pretesa insufficienza della teoria del
plusvalore non sussiste per nulla.
La
discussione può essere stata pedante; ma la abbiamo fatta più che altro per
spiegare a chi non lo sapesse che cosa è la teoria del plusvalore, che si
esprime in chiare leggi scientifiche, e non in astrazioni sul concetto di
valore come Graziadei lamenta ad ogni passo. Perché noi conosciamo la
obiezione: Marx sa che non vi è coincidenza completa tra valore di scambio e
prezzo, e la sua supposizione che nella media il prezzo tend a al valore di
scambio quale-egli lo arriva a determinare partendo dal lavoro, non vige che
per certe merci prodotte su scala colossale e nella ipotesi della piena
applicazione della libera concorrenza. Per vedere che cosa valgono queste
obiezioni, poniamo in rapporte la portata e lo «scopo» della teotia del
plusvalore con i casi nei quali Graziadei si vanta di poterla cogliere in
fallo.
Il magnifico, organico
sistema della critica marxista all’economia borghese, come meglio mostreremo
anche più oltre, suppone ad oggetto del suo studio un capitalismo «tipo»
squisitamente sviluppato e dominante tutta la vita della produzione. Ció non
toglie che il metodo generale, e le sue leggi scientifiche, valgano nello
stesso tempo a seguire il processo evolutivo del capitalismo e la sua
coesistenza, come sempre si verifica in realtà, con gli altri tipi di economia
sociale. L’analisi nella sua più semplice formulazione suppone un regime di
aziende capitalistiche in piena «libera concorrenza» tra loro. La teoria del
plusvalore dimostra che in questo regime il carattere essenziale del processo
produttivo è la formazione di un profitto per i capitalisti tratto dal lavoro
dei salariati. Marx stesso indica, naturalmente, che la sua teoria, riferita al
tipo sociale medio di azienda, di produttività del lavoro, di bontà organizzativa
dell’impresa, non serve a dare direttamente la misura dello sfruttamento
operaio e del guadagno operaio in un singolo caso, potendo esservi per
eccezione alla media, localmente e momentaneamente, una tale contingenza, per
cui un capitalista perda invece di guadagnare, e un operaio sappia così ben
fregare la disciplina della fabbrica da non produrre oltre il salario che
riceve. Più ancora; la teoria non è stata fatta perdare direttamente,
ripetiamo, le misure della sfruttamento e del guadagno in attività economiche a
carattere precapitalistico, o misto di diversi tipi economici.
Diciamo di
più: nell’analizzare il meccanismo del «regime» di economia capitalistica
«normale», Marx, nel complesso della sua critica, vuole appunto giungere, e giunge,
a dimostrare che un regime di normalità permanente è impossibile, e che
il preteso gioco di compenso della libera concorrenza si risolve in ondate di
crisi, che sconvolgono le quotazioni del plusvalore, determinano i
fallimentidei capatalisti e la disoccupazione degli operai ... Probabilmente,
nel complesso divenire della storia economica, non si troverà mai una
azienda, nella pratica, che offra la esemplificazione matematica esatta della
legge del plusvalore attraverso misurazioni immediate, su dati empirici.
Graziadei
sfonda dunque porte apertissime con la serie delle sue curiosità giornalistiche
su certi casi particolari di profitti di capitalisti e salariati, citando il
fortunato compratore di un futuro suolo urbano, o la gola di Caruso.
Egli potrebbe
citare anche il ladro professionale: tanto Marx gli ha già dimostrato nel Capitale
che anche il frodare da parte di uno dei contraenti nella compravendita non
causa produzione sociale di plusvalore, ma uno spostamento di
appropriazione di un valore, che resta tutt’altro fenomeno.
Definite nel
processo produttivo le leggi del plusvalore, Marx prosegue nello sfudio del
processo di circolazione. Secondo Graziadei si tratta di inutile per quanta
grandiose sforzo, contenuto nelle analisi del III e IV volume del Capitale. Si
sa in quali condizioni questi sono giunti fino a noi e i materiali originali di
Marx attendono forse ancora un altro Engels che abbia la possibilità di meglio
rielaborarli. Ma noi non entriamo qui in questa discussione. E evidente,
elementarmente, agli effetti delle leggi del plusvalore dimostrate per processo
di produzione, che le vicende della circolazione sul mercato, dove i prodotti
della fabbrica capitalistica si incrociano in modo complicatissimo con altre
forme di prodotti e di servizi, non possono inficiare l’analisi della
sfruttamento nella fabbrica a danno della classe salariata. Nella circolazione
avvengono, tra buoni e cattivi affari, tra speculazioni, frodi, e dabbenaggine
da parti opposte, delle complicate ed incrociantisi ondate di compenso nei
valori, che lasciano vera la dottrina marxista sulla produzione capitalistica.
Noi per
dimostrare la legge del plusvalore, e in linea più generale la teoria del
valore di Marx, dobbiamo ricorrere all’esame di economie «tipo», e Marx lo
avverte venti volte nella dimostrazione che si snoda come la spina dorsale
della sua opera, il che non gli impedisce di mostrare una formidabile analitica
erudizione in materia di storia e geografia economica e di scrivere pagine e
capitoli descrittivi del capitalismo e di tutte le forme economiche. Il piano
della sua opera principe, tracciato nella prefazione della Critica
dell’economia politica, andava al di là dei limiti stessi dell’opera sul
capitale, per trattare di «capitale, proprietà fondiaria, salariato, Stato,
commercio estero, mercato universale».
Ma gli uomini
che come Marx posseggono qualità eccelse nella analisi e nella sintesi, fanno a
gran diritto epoca
La teoria del
valore ci spiega tutti i casi «tipici», «puri», del meccanismo produttivo.
Supponiamo, non Robinson, che non è un «tipo» di economia riconoscibile
frammisto ad altri e sceverabile dall’analisi scientifica nei suoi caratteri,
ma una società di produttori individuali, ognuno dei quali possegga tutti gli
strumenti occorrenti a produrre una data merce. Che cosa se non il lavoro, la
misura di esso data dal suo tempo «medio», misurerà i valori di scambio, ossia
i prezzi con cui si permuteranno quantità corrispondenti di merci?
Naturalmente se sopravviene, sul mercato, la funzione di intermediari,
speculatori, accaparratori, le cose si complicano, non nel senso che cessi di
essere vera la teoria del valore, ma nel senso che le misure dirette dei prezzi
non la verificano plù immediatamente. Il primo capitalismo che appare è
quello commerciale ed usurario; Marx dimostra perché deve essere, come forma
spuria, escluso non dall’indagine con la guida della dottrina del plusvalore,
ma dall’analisi che la teoria condusse a scoprire e che permette di
ridimostraria quando si voglia. Questa analisi prende ad esaminare la grande
fabbrica, la produzione di merci su vasta scala. Essa dà risultati teorici
intorno ai quali si aggireranno, con sufficiente approssimazione, le medie delle
misurazioni che possiamo trarre dalle statistiche dei fenomeni economici e dei
prezzi. Graziadei ammette questo ma aggiunge: finché dura il sistema della
libera concorrenza.
Ecco la sua
grande obiezione: i fenomeni del monopolio parziale e totale, ignoto o quasi a
Marx che non conosceva lo sviluppo grandioso odierno dei sindacati, dei trusts
e dei cartelli, vengono a demolire la legge del plusvalore. Noi abbiamo
dimostrato dove era l’errare nel calcoletto dell’esempio di Graziadei:
traduciamo in termini per così dire storici
Questa è la
sola maniera scientifica di tentare una dimostrazione che la teoria del valore
cade in difetto. Ebbene, avverrà questo: ciò che fa l’industria per una data
merce, aumentando grazie al monopolio i prezzi di vendita, a parità di costo di
produzione, sia fatto per tutte le altre merci, in egual misura. Che cosa
avverrà? Che ogni consumatore dovrà pagare, poniamo, il doppio, in media, tutto
quanto acquista. E consideriamo quella gran massa di consumatori che sono i
salariati: avverrà che il loro mantenimento costerà il doppio. Finché non
sopravvengono altri fenomeni di crisi che qui non esaminiamo, che potrebbero
tendere al raddoppiamento dei salari, cioè a riportare le cose al punto di
prima, e comunque questa crisi si svolga, è chiaro questo: che, come avveniva
nel nostro calcolo sull’esempio di Graziadei, il saggio del plusvalore a
beneficio dei capitalisti essendo aumentato, sarà diminuito il lavoro
necessario e aumentato il sopralavoro degli operai nella
stessa misura media.
Questo
significa che vige la legge dei plusvalore: tutto il profitto è lavoro non
pagato ai salariati. Cioè avverrà lo stesso che avverrebbe se tutti i
capitalisti potessero mettersi d’accordo a dirnezzare il salario dei
lavoratori, i prezzi dei generi restando fissi. Approfittando dell’equivoco che
nasce dal considerare un solo ramo di industrie sindacata e tutti gli altri
liberi, Graziadei ha tirato fuori la trovata che per spiegare questo si deve
pensare a un sovraprezzo sui consumatori, che è veramente il suo
capolavoro di preteso economista proletario!
Noi qui non
accenniamo nemmeno alla effettiva applicazione del metodo di Marx e delle leggi
sul valore e il plusvalore alla modema fase del capitalismo. Kautsky,
Hilferding, Luxemburg, hanno lavorato su questo terreno, e Lenin ha dedicato al
problema il suo notissimo libre, per tacere degli altri. Noi restiamo su un
terreno generale quanta elementare, per distruggere la pretesa dimostrazione di
Graziadei che «a priori» si deve buttare via la teoria di Marx per capire
qualcosa di tali fenomeni.
E ora, nella
seconda parte del nostro studio, che vedremo un poco meglio che cosa significhi
la tesi di Graziadei basata nella parte negativa su errori di applicazione
della teoria che egli avversa, in quanta vuol elirninare dal campo della
scienza economica ogni dottrina del valore, e conoscere solo l’andamento
empirico dei dati economici perché ciò ha rapporta col quesito se, tolta che
fosse di mezzo la dottrina marxista del valore, resti qualcosa di una critica
economica, non pure marxista, ma socialista nel senso più lato.
Prima abbiamo
cercato di provare che l’opinione di Graziadei è intrinsecamente sbagliata: ara
vogliamo mostrare che è antimarxista e antiproletaria.
2.
Dinanzi all’inaudita
asserzione di chi dovrebbe essere uno dei teorici del Partito Comunista - e che
in Italia sarebbe certamente uno dei meglio preparati a tal compito per cultura
scientifica e acume di indagatore - che si possa accettare la critica storica e
politica del capitalismo dataci da Marx, senza ritener per valida la teoria del
plusvalore, e insomma tutta la critica economica del capitalismo, noi
contrapponiamo l’affermazione che senza la parte economica il contenuto storico
e politico del comunismo non si puo reggere. E lo dimostriamo ricordando come
la critica marxista si sia costruita e si costruisca nella coscienza del
movimento comunista mondiale, e dei suoi fondatori.
Il marxismo
comincia a sorgere c come sistema critico all’indomani della grande
rivoluzione borghese. Esso fa presto a fare giustizia delle dottrine
filosofiche che per il nuovo regime sarebbero il trionfo della verità contro la
fallacia e l’arbitrarietà delle filosofie teocratiche; e a ridere dei
filosofemi metafisici della nuova teoria politica borghese sull’eguaglianza e
la libertà.
Il marxismo,
dottrina del proletariato, ha sott’occhio le prime informi proteste delle
classi che il nuovo regime tiene sacrificate, le prime elucubrazioni
socialistiche degli scrittori che denunziano la ingiustizia economica stridente
sopravvissuta alla rivoluzione. La sua critica scende pero dalle nuvole della
morale sociale, per adottare un metodo rigorosamente scientifico e scoprire
dove risiede l’inganno degli apologisti del regime borghese e liberale.
Il costruirsi
di una coscienza politica del quarto stato avviene in quanto la base
dell’indagine viene portata dal terreno filosofico, giuridico, morale a quello
economico; in cio sta la scoperta di Marx sul metodo del determinismo
economico; in merito al quale strumento di indagine, ci piacerebbe sapere la
opinione di Graziadei.
Portata
l’attenzione sullo studio dei fatti economici, il marxismo tende a comprendere
come la difesa dei criteri giuridici e politici borghesi significhi in effetti
la difesa di un certo sistema di economia e di una certa classe sociale che di
quel sistema è
Che cosa
sostiene, al tempo di Marx, e dopo ancora, malgrado nuovi paludamenti di
armatura scientifica scrupolosa e complessa, la economia borghese? Non volendo
conoscere opposte classi, neppure es sa vuole riconoscere, nel groviglio dei
fatti economici che si susseguono, lo sviluppo di date forme tipiche di
economia le quali maturino e tramontirio, e l’opposto valore dei rapporti
economici per gli uomini - i «cittadini liberi ed eguali» - che si trovano in
diverse condizioni rispetto all’impiego degli strumenti produttivi. Quindi
l’economista classico si tiene alla continuità e analogia delfatto economico
malgrado vicende storiche e politiche, si astiene il più che puo dal formulare
sistemi teoricidi spiegazione di quanto avviene nel mondo economico, e limita
la sua dottrina, dopo la registrazione dei fenomeni, alla apologia del modo col
quale si svolgono e raggiungono illoro equilibrio, che asserisce sarà tanto
migliore quanta più si «lascerà fare e lascerà passare», astenendosi da ogni
intervento dei poteri pubblici, fidando sui vantaggi -,miracolosi della
«libertà» degli atti economici.
Dove si
verifica questa pretesa eguaglianza e libertà di tutti quelli che compiono atti
economici? Sul mercato, nel campo della scambio di merci, che diviene quindi il
terreno centrale per la descrizione della economia. L’economia borghese, che
deve evitare certi passaggi scottanti, tende ad essere naturalmente una scienza
dei prezzi, una statistica delloro variare, e una apologia, che nelle forme
moderne è solo divenuta più abile e prudente; delle leggi che ne
assicurerebbero in modo provvidenziale e nell’interesse di tutti il più felice
equilibrio. Stranamente vicina alle ostinate preoccupazioni di Graziadei, e
sostenendo come lui, nella sola prima epoca mena scientificamente di lui, che
la muove solo il desiderio di obiettività e di sicurezza positiva delle
conclusioni, l’economia professata nell’interesse della borghesia vuole vedere
solo i «liberi» compratori e venditori che vanno al mercato, colle stesse
possibilità di guadagnare o perdere, se non colla certezza di fare tutti degli
ottimi affari ... Tutto essa riduce a una teoria dei prezzi, e tutt’al più dei
«costi» come li può dedurre da altri fatti misurabili del mercato, cioè da
semplici operazioni di addizione di altri prezzi. Le teorie del valore di
questi economisti sono elucubrazioni senza senso, e ben presto essi verranno
sul terreno della esclusione di ogni teoria del valore e di ogni intento di
apologia palese, bastando ad essi di distrarre l’attenzione dai punti salienti,
sviscerati invece senza pietà dalla economia rivoluzionaria di Marx.
L’economia
conservatrice ragiona e calcola come Graziadei. Per l’imprenditore vi sarà
l’insieme dei prezzi a cui compra, e il prezzo a cui rivende, maggiore,
logicamente, se no non si troverebbero più dei cittadini che si disturbassero a
fare da imprenditori, con grave danno della società. Quindi vi è il, costo del
lavoro, il costo del capitale (interesse), il costo delle materie prime, le
spese di manutenzione, le quote di ammortamento... dall’altra parte il prezzo
di vendita. Questo processo nulla ha di dissimue, secondo tale teoria, da un
processo puramemte commerciale, col suoprezzo di acquisto della merce e il
prezzo, di rivendita. Nell’uno e nell’altro casa questa dottrina, nella sua
prudenza scientifica, non definisce che dei margini come differenze tra
i costi e i prezzi ultimi di vendita: il cercare di più è delitto. Teoria
dunque del prezio: ma non nel senso che si possa indagare quali elementi hanno
contribuito a formare questo prezzo finale, maggiore dei costi da cui si è
partiti, perché allora si deve introdurre il concetto astratto di
valore; tutt’al più si può fare una «storia dei prezzi» assumendo che questi
sono funzione dei prezzi precedenti, o fabbricare teorie come quelle di
Graziadei sul sovraprezzo, in cui sussiste l’equivoco fondamentale: il mercato
fatto campo centrale dell’analisi, e la parità di trattamento al fatto
puramente commerciale e a quello produttivo-industriale. Questo equivoco
conserva tutto il suo valore reazionario, malgrado Graziadei vi aggiunga una
secondaria teoria, ripetiamo solo qualitativa, del sopralavoro e vedremo tosto
il come.
Ma si
presenta Carlo Marx (per buona fortuna di Graziadei prima che questi avesse
scritto il suo libretto) e’a staffile brandito travolge questo edifizio di
gesuitismo. Il Mercato, campo ove magicamente trionfano «Giustizia, Libertà,
Eguaglianza e ...Bentham (il famoso apologista della libera
concorrenza») è une scenario che Marx fa subito crollare, dopo aver mostrato
che bisogna spingere oltre l’esame e lo studio dei fatti, per intendere
l’essenza e il divenire della vita economica. Le leggi della circolazione, per
quanto la loro applicazione possa essere multiforme e complicata da mille
fattori, non presentano difficoltà sostanziali e non contengono la chiave della
questione economica appunto in quanta la vogliamo porre a base di una
interpretazione storica e politica. Che sul mercato si speculi, si frodi anche,
si colgano bene o male dai singoli gli alti e bassi delle curve dei prezzi, non
è cosa che ci dica ancora che di nuovo e di mutevole appaia, seconda grandi
epoche e forme tipiche, nel quadro della economia umana. E Marx, fatto crollare
il variopinto scenario, levato a nascondere la turpitudine del sistema
borghese, si getta alla ricerca delle leggi della produzione: ecco che cosa
bisogna intendere per le varie epoche che si prendono ad esaminare: come erano
utilizzati gli strumenti produttivi, a seconda del loro sviluppo tecnico, e
quali rapporti economici, e poi sociali e giuridici, si stabilivano, tra gli
uomini a seconda dei sistemi produttivi. Lasceremo così il campo magico
del mercato commerciale per entrare, a seconda dei tempi, nel feudo ove curvo
sotto lo stafftle lavora il servo della gleba, nella bottega dell’artigiano, ed
infine nel Sancta sanctorum del regime economico moderne: la fabbrica, per
sviscerarne la vita con ben altro che le operazioni aritmetiche che decorano i
libri della Ditta tenitrice dell’azienda.
Ne viene
fuori una analisi del tutto nuova e ofiginale, una teoria delle successive
forme storiche di produzione, una teoria, in particolare, della forma
capitalistico-industriale contemporanea, e infine la conclusione che i filistei
temono di veder apparire, la teoria della morte dell’economia
capitalistica, il programma sociale dei suoi eredi: i proletari. Ed è questo il
comunismo, non più pietistica o teoreticistica, seconda i casi, protesta
morale, ma formidabile costruzione di certezza scientifica, arma perfezionata
data in pugno alla futura classe vincitrice, che con essa muove alla
demolizione di un mondo.
Carlo Marx
mette da banda la questione del profitto puramente usurario e commerciale, dopo
aver dimostrato che con esso appare la prima forma storica embrionale del
capitalismo e sottopone alla vivisezione il, tipo di azienda capitalistica
giunto a maturità perfetta: la produzione industriale moderna.
Non che Marx
ignori o trascuri i particolari storici della evoluzione economica e il
necessario coesistere, ad ogni epoca, dei vari tipi: anzi egli, dopo aver
dimostrato in materia una cultura formidabile che toglie a chicchessia il poter
tacciare lui e la sua scuola di semplicismo, annunzia come l’indagine, delle
effettive situazioni economiche si farà scientificamente quando si saranno ben
precisate le leggi proprie di ogni tipo: e valga un mirabile esempio: l’analisi
dell’attuale economia russa fatta da Lenin e da Trotsky a proposito del dibattito
sulla Nuova Politica Economica.
E Marx ci dà,
nel Capitale, ma in realtà traccia fondamentalmente ancor prima, nel Manifesto,
le leggi scientifiche che spiegano il meccanismo di produzione del
capitalismo moderno, e i rapporti che lo caratterizzano. Il Capitale esce
più tardi, solo perché preme a Marx di sistemare la materia in modo da
confutare ogni obiezione, e fare la critica di tutti gli economisti più noti:
lavoro enorme che gli riesce di compiere, in parte, dopo molti anni, solo
perché deve dedicarsi alle quotidiane necessità della battaglia rivoluzionaria:
né Marx era uomo da mettere in prima linea, nei momenti di tensione sociale e
politica, la redazione del libro, pur trattandosi di «quel» libro ... Ma fin
dall’epoca del Manifesto la dottrina essenziale sulla produzione
capitalistica è in piedi, nella sua ossatura destinata a sfidare le tempeste,
tra le quali non vorremmo comprendere la critica del nostro Graziadei. Marx
stesso, ed Engels, fanno in molti testi la storia della formazione delle loro
opinioni. Valga questo a confutare la piramidale asserzione di Graziadei, in
una delle arrabbiate difese del suo libro, che Marx codificò nel Manifesto il
programma comunista, prima di aver abbracciato le opinioni contenute nel Capitale
in materia di scienza economica.
Tornando
all’argomento, noi troviamo nell’opera di Marx la esposizione delle leggi
scientifiche che ci permettono di intendere il processo capitalistico di produzione.
Per potere dare forma a queste leggi, che devono poi servire da punto di
partenza allo studio della evoluzione storica del capitalismo (sua origine, suo
incrociarsi con altre forme economiche; sua decadenza, natura delle forme che
ad esso succederanno), si tiene conto naturalmente dei dati misurabili, che
sono, insieme ai vari prezzi, le quantità di mercanzia, i tempi di lavoro, ecc.
ma, come in ogni teoria deve farsi, e può farsi con molteplici modi e
tenninologia, si introducono nuove quantità non misurabili, ma definite nella
loro misura per rapporta a quelle misurabili. Nel sistema di leggi di Marx
possiamo quindi parlare con piena sicurezza scientifica di valore e misura
del valore. Forse si potrebbe esporre la stessa te aria, e le stesse leggi
matematiche, senza usare la parola valore, e anche adoperando un’altra quantità
«derivata» che non sia il valore: restando la stesso il contenuto della
descrizione del processo in esame. ,
Dire che
parlare di valore è una arbitrarietà metafisica, poiché il valore non si vede o
non si pesa, significa solo non capire nulla di metodo della scienza
sperimentale e di storia del metodo scientifico. Ogni nuova teoria, anche in
quanta potrà essere superata da una ulteriore più completa, che senza
escluderla la abbracci, ma soprattutto in quanta demolisce e seppellisce le
teorie errate anteriori, introduce nuove definizioni di quantità che compaiono
nelle sue leggi, e che non sono suscettibili di misura empirica immediata. Le
obiezioni contra i filosofeggiamenti morali e psicologici sul valorenulla
intaccano della maniera logica e sperimentale con
Che vi è di
antiscientifico nella introduzione del valore, per analogia, se vogliamo, ad
una «massa economica»? Noi possiamo dire, non esigendo approssimazioni del
grado di quelle necessarie nelle scienze fisiche, che prendiamo i prezzi medi
come misure del valore (di scambio), trascurando certe oscillazioni dovute a
fatti della circolazione, così come nella pratica misuriamo le masse dai pesi
dei corpi alla superficIe terrestre, pur sapendo che massa e peso sono case
diversissime, per il gioco che hanno sulle nostre leggi, e che il grammo massa
non ha il peso di un grammo, ma un peso lievemente diverso seconda la località
e anche seconda il tempo.
Non meno
antiscientifico sarebbe contestare a Marx il diritto di tenersi, in quella
analisi generale che mira a trovare le leggi del processo produttivo
capitalistico, ad un casa tipico, e altrettanto per le altre forme economiche.
Il biologo a buon diritto, e soprattutto perché non ne potrebbe fare a mena nella
ricerca di quanta più si approssima alla verità scientifica, parla di specie,
pur sostenendo che lentamente si evolvono l’una nell’altra; e il geologo
deve per necessità tracciarci la «serie dei terreni», come si dovrebbero
incontrare dal basso in alto e nella successione delle epoche, pur essendo
indiscutibile che in agni epoca coesistettero nella crosta terrestre
svariatissime fonnazioni, e che nella pratica non troveremo mai negli
scavi e nei sondaggi una stratificazione in tutto corrispondente alla serie
tipo, potendo comunque variare le coesistenze e le lacune della successione.
La
introduzione della quantità valore serve a Marx per formulare nella maniera più
suggestiva le sue leggi. Potrebbe essere mutata la foggia della sua
esposizione, e contro di essa si può parlare in nome della pretesa e ipocrita
imparzialità della scienziato: quanto a noi ce ne stiamo allo stile di Marx,
perfettamente a posto in una trattazione scientifica, che è anche una battaglia
rivoluzionaria; e tanto meglio se una tale forma urta le suscettibilità
avversarie.
Il concetto
di valore serve a Marx per stabilire la facile relazione che il valore è
proporzionale al tempo di lavoro «medio sociale» occorrente alla produzione di
una data mercanzia. Questo permette di analizzare che cosa avviene nella
fabbrica, dissipando il volenteroso equivoco sul valore che già aveva la
materia prima entrata nel ciclo produttivo. Ridotto tale valore iniziale
teoretica mente a tempo di lavoro, ci riesce possibile eliminare questa
costante al principio e alla fine del processo, e concludere che la mercanzia
lavorata ha subito un aumento di valore, e quindi di suscettibilità di aver
prezzo sul mercato, il cui apporta è dato dal tempo di lavoro umano che vi si è
attualmente «immagazzinato». Ora, e qui non facciamo che ripetere quanta
abbiamo detto nella prima parte e quanta dice Marx, il fatto sostanziale è che
tale aumento di valore è più grande del corrispondente salario dato agli
operai. Ossia la caratteristica del sistema salariato è il fatto che il salario
del lavoro è al di sotto del suo valore, ossia del valore che quel dato
lavoro apporta alle merci. La introduzione del valore ci permette di stabilire
la legge numerica dell’eccedenza in questione. Si potrebbe variare all’infinito
il frasario e la presentazione del fatto,e Marx scelse come più suggestive le
definizioni derivate di lavoro necessario, ossia tempo di lavoro in cui
si produce un valore equivalente al salario, e di sopralavoro, ossia
tempo di lavoro in eccedenza, in cui gli operai lavorano per il padrone e non
per se stessi. Si può introdurre la definizione della forza di lavoro degli
operai, ossia della merce che il capitalista acquista con il salario, per dire
quindi che questa merce è la sola che il capitalista trova sul mercato dotata
della qualità di non trasmettere puramente al prodotto il suo costo, come
valore, ma di trasmettergli l’aumento del valore che al capitalista preme per
realizzare il suo guadagno. Nulla in tutto questo vi è di arbitrario o di
scientificamente illegittimo; sono diverse formulazioni che tendono a stabilire
la medesima legge: lo stesso rapporto misura il saggio del plusvalore
da cui dipende il profitto del capitalista, e il grado di sfruttamento
del lavoro dei salariati.
Il succo sta
in questa fondamentale asserzione: il margine che si realizza sul costo della
mano d’opera (forza di lavoro) è una cosa ben diversa dai margini occasionali scaturiti
sul costo delle materie prime o, se si vuole considerare il capitalista divisa
dall’imprenditore, dei capitali, ecc. Questi nuovi margini nel fenomeno media
si compensano e si annullano: resta in piedi la eccedenza estorta dal lavoro
umano, chiave di volta del mistero. Che la cosa possa esporsi in vari modi non
è, come qualche stenterello potrebbe credere, un nostro ripiego, ma una pura
considerazione di metodo scientifico: ad esempio Marx stesso dà varie
formulazioni della stesso fenomeno, laddove (Capitale, vol. I, Cap.
VII, par. 2) mostra come si può convenzionalmente esprimere il valore e il
plusvalore in parti proporzionali del prodotto, o in parti proporzionali della
giomata di lavoro, senza con questo voler dire che materialmente una parte del
prodotto sia uscita dallavoro dell’operaio e un’altra no, o che in un certo
momento l’operaio sia libero e in un altro sfruttato, ecc. (2).
Che cosa
sorga da questa asserzione che il profitto del capitalista nel regime
industriale moderno è tutto misurato dalla sfruttamento dellavoro operaio, in
senso matematico quantitativo, e non come vaga asserzione qualitativa, è
semplicemente una cosa: il programma rivoluzionario comunista. Solo per questa
via vi si può arrivare.
Come
storicamente avvenga il superamento del capitalismo, lo si dimostra con una
lunga analisi di un grande complesso di fatti, illuminata dalle anzidette leggi
fondamentali. Anzitutto è chiaro come il capitalismo tenda ad assorbire tutte
le forme economiche più arretrate nel vortice del rinnovamento di valore di cui
ogni momento della produzione industriale è un fattore molecolare. Come separa
Graziadei da queste dimostrazioni le mirabili pagine del Manifesta sulla
missione storica rivoluzionaria della borghesia moderna? Vengono quindi le leggi
del divenire capitalistico, delle sue crisi, della inevitabile sua catastrofe:
anche questo Graziadei condanna, e promette di fame giustizia in altro libro.
Senza deviare in una discussioile a tal proposito, che pure è di grande
importanza, notiamo che Graziadei recide così un altro grande anello della
catena logica che arriva a quel programma comunista che egli assume di
accettare. ln ultimo, la dimostrazione della possibilità (ove esistano le
condizioni mondiali della produzione capitalistica, con la sua divisione del
lavoro e separazione del lavoratore dallo strumento produttivo) di una economia
collettivista, senza privati imprenditori, si adagia tutta sulla dimostrazione
critica che tutto il profitto capitalistico, tutta la massa delle
energie sociali utili, hanno origine nellavoro dei salariati.
Nella
dialettica marxista ogni conquista della critica al regime presente corrisponde
ad un postulato del movimento rivoluzionario. Le mirabili pagine del marxismo
sul modo di concepire una economia comunistica, specie in risposta aIle tante
equivoche predizioni socialistoidi, ad esempio lassalliane, vivono di questo
legame tra la solida critica del presente e la preparazione rivoluzionaria del
domani. Sulla distinzione basilare tra margini della produzione industriale e
margini della pura intrapresa commerciale speculativa, si poggia la previsione
che in regime collettivo avanzato una grande schiera di servizi saranno
gratuiti, e non commisurati da prezzo: cosa in cui Graziadei non crede, come
forse dirà in un libro del prossimo decennio, dimostrando così di non essere un
socialista dal punta di vista economico.
E certo che
allora il proletariato sarà rivoluzionariamente capace quando sarà convinto che
la impalcatura del capitalismo è puramente parassitistica, e saprà quali parti
dell’assetto economico che lo opprime devono crollare totalmente. L’economia
antirivoluzionaria cerca di stabilire che nel mondo capitalistico il
meccanismo produttivo ha altre necessità che non sono la estorsione del
plusvalore: questo basta a rendere problematico il suo abbattimento e la
continuazione della produzione dopo di esso, anche se si concede che esista un
fenomeno da chiamarsi prudentemente del sopralavoro, comune a tutti i sistemi
economici, ma spesso sopraffatto nelle conseguenze dei processi dei costi e
dei prezzi, e tanto più secondario quanto più si modernizzerebbe nelle ultime
forme il capitalismo ... Questa tesi è un’apologia come un’altra, più abile di
un’altra, della economia borghese.
Quanto alla
concezione politico-storica comunista, essa non è meno collegata alla critica
economica. La scoperta del contrasto delle forme di produzione colle forze
produttive, da cui sorgono i conflitti di classe e le rivoluzioni, è un
risultato di quella analisi colla quale soltanto il marxismo può individuare e
distinguere le varie forme economiche, e sopra tutte il capitalismo. I concetti
di conquista violenta del potere e di dittatura proletaria sono derivati da
quello di una crisi catastrofica del capitalismo, inerente alla sua stessa
natura economica, di uno sfruttamento esasperato delle masse. Nessuna parte del
programma comunista avrebbe trovata origine storica senza l’impiego dell’arma
della critica proletaria contro le menzogne dei difensori dell’ordine borghese.
La critica
economica di Marx stabilisce dunque in modo completo il legame tra le dottrine
della economia liberale e gli interessi di classe dei capitalisti: anzi spiega
tutta la filosofia borghese come una traduzione della immaginaria eguaglianza
sul mercato dell’individuo borghese, della finzione che ogni cittadino sia una
«ditta» e una azienda economica, mentre in realtà la massa dei liberi cittadini
resta sempre più diseredata e sfruttata. Di più, nella prefazione al Capitale,
Marx, nel fare la storia della economia classica, dice che dal momento in
cui il contrasto tra gli interessi borghesi e quelli proletari si delinea, non
vi può più essere per borghesi una vera scienza economica, ma solo la difesa
ufficiale del sistema capitalistico. Solo il proletariato è libero dai legami
che impediscono alla verità scientifica di farsi strada nel campo arroventato
della economia (3).
Per un marxista
i tentativi di revisione come quello di Graziadei non significano che una
concessione, se non un ritorno aIle esigenze dell’antiscientifica economia
ufficiale; concessioni in tante più pericolose in quanta recano la firma di
militanti comunisti. Il riavvicinamento alla maniera borghese di affrontare
l’indagine economico-sociale, in contrasto a quanto ha il marxismo di più
rivoluzionariamente fecondo, crediamo di averlo mostrato in modo indubbio.
E deplorevole
che vi siano compagni che valutano i pretesi portati della moderna scienza
economica universitaria e accademica dimenticando l’elementare avvertimento
del nostro Maestro, e che si lasciano ingannare dalla ostentata imparzialità e
fredda obiettività scientifica nel lavoro pettegolo di registrazione statistica,
che non èche l’ultima truccatura del tentativo di chiudere la via aile
conclusioni rivoluzionarie della vera scienza economica, trattate, ad esempio
da Pareto, come apriorismi sentimentali o metafisici. Chi cade in simile
tranello non è degno di essere considerato un marxista comunista più del povero
nostro Berti, che si entusiasma alle pagine di Graziadei, e arriva a parlare
dei nuovi orizzonti del «criticismo marxista», cresciuto a scuola dei
trattatisti borghesi in voga, e tenuto a battesimo da Graziadei ... e non si
accorge che si tratta dei soliti orizzonti, dal raggio notoriamente assai
limitato, del vecchio e repugnante ... onanisme antimarxista.
Nell’ultima
parte del nostro scritterello verremo a cercare il senso della straordinaria
pretesa di Graziadei di salvare, dopo tutto lo scempio della economia
socialistica, il programma politico comunista.
3. IL NEOREVISIONISMO DI GRAZIADEI OVVERO IL COMUNISMO DELLA SESTA GIORNATA
Marx ha
studiato le condizioni tipiche della economia capitalistica e, trovandosi per
di più di fronte a coloro che nella libera concorrenza ponevano il più certo
presidio della eternità del regime capitalistico, ha dato le leggi di uno
sviluppo tipico dell’epoca capitalistica, quali possono essere dedotte
dallaipotesi della piena libera concorrenza sui mercati. Ma Marx sapeva di fare
opera di critico e di polemista politico, non di profeta, o si riservava di
addivenire in altra sua opera allo studio più particolareggiato dell’effettivo
svolgersi del regime capitalistico sotto l’influenza di tutti gli altri fattori
storici e sociali non puramente capitalistici. Questo non andrebbe dimenticato
da Graziadei nei suoi ulteriori libri contro Marx.
La stessa
coscienza di classe del proletariato, il cui sviluppo è stato accelerato dalle
scoperte della dottrina marxista, conduce dapprima ad alterare le condizioni
tipiche della libera concorrenza, poiché il sorgere dei sindacati operai,
eliminando la completa libertà sul mercato della manodopera, obbliga i
capitalisti a tenere più alti i salari e rallenta in un certo senso la
accumulazione capitalistisca e il depauperamento proletario. D’altra parte il
capitalismo risponde a questo coll’abbandonare a sua volta il puro terreno
della autonomia delle aziende private in concorrenza, per addivenire alla
costituzione dei sindacati e dei cartelli di cui tante parlil Graziadei, e
porsi sulla via dell’imperialismo coloniale e militare.
Che questo
complesso sviluppo si possa studiare assai bene tenendo ferme le leggi
fondamentali dell’economia di Marx, lo si vede, per restare sul terreno delle
considerazioni più sommarie, dal fatto che lo sbocco delle svolgimento
capitalistico si è presentato quale Marx lo vedeva, nell’acutizzarsi del
conflitto di classe, e la stessa prospettiva programmatica comunista ha avuta
una prima grande realizzazione nella rivoluzione russa e nel modo col quale
essa si è svolta. Che la storia abbia confermato Marx in politica, e lo abbia
smentito in economia, appare assurdo, quando Marx dedusse il suo sistema di
conclusioni storiche e programmatiche dalla, critica economica, come abbiamo
già detto. Qui vogliamo aggiungere solo questo argomento, che vorrebbe più
ampia trattazione: che una smentita a Marx non poteva venire dalla applicazione
della sua critica a forme economiche di capitalismo nonconcorrentistico, in
quanta Marx si era voluto porre nella condizione critica e quindi di battaglia
polemico-politica più sfavorevole, prendendo a considerazione un capitalismo
conforme alle condizioni volute dai teorici apologisti del liberismo.
Col
rinunziare ai suggerimenti della sua scuola economica, lungi dal dedicarsi a
... smentire Marx, il capitalismo mostra di sentire la verità della critica
socialistica e, di abbandonare teoreticamente e praticamente importanti
posizioni conservatrici. Il passaggio ai fenomeni di monopolio è
pregiudizialmente una vittoria della critica comunista ed una confessione di
decadenza del capitalismo. E questa non è una nostra elucubrazione, in quanto
corrisponde alla tesi dell’Internazionale comunista che il capitalismo, avendo
dovuto nella guerra adottare forme di controllo statale dell’economia, e nel
dopoguerra tentare di stabilire un controllo centrale della produzione
mondiale, dimostra giunta l’ora dell’organizzazione centrale della produzione,
che il proletariato deve con la rivoluzione politica giungere a togliere alle
potenze borghesi.
Graziadei, il
quale pretende di accettare la parte «storica» del marxismo, capovolge intanto
la concezione marxista della storia economica. L’ultima tappa del capitalismo,
che mostra così evidentemente la giustezza della conclusione rivoluzionaria
sulla necessità del passaggio dalla economia privata alla economia considerata
affare collettivo e pubblico, suggerisce a Graziadei di sopravalutare ilcompito
del capitale commerciale rispetto a quelle industriale, di presentare il
profitto dei capitalisti come tratto da un sovraprezzo sui consumatori (questo
è il capolavoro del nostro autore ...) nelle pure influenze sulla quotazione di
compravendita del mercato. La storia economica del capitalismo come
Che cosa
dunque Graziadei pretende di accettare tuttora del comunismo di Marx, ossia del
solo comunismo concepibile?
Evidentemente
per parte storico-politica del marxismo Graziadei intende, staccandola da
tutto il resto (e non sognandosi di dirci come la si farà nascere dalla teoria ...
del sovraprezzo, che tutt’al più ci presenterebbe la eventualità di una
crociata piccolo-borghese di consumatori e di cooperatori ...) la tesi che il
proletariato farà bene ad adoperare la violenza per conquistare il potere e ad
instaurare un regime di dittatura. Graziadei insomma accetta, bontà sua, la
critica della democrazia come mezzo di lotta proletaria, o almeno come
strumento del potere proletario, e la critica del pacifismo umanitario. Il
revisionismo di Graziadei dunque differisce, lo riconosciamo subito, dal
revisionismo classico di Bernstein, in una cosa importante: come questo, butta
via tutta la teoria di Marx snI plusvalore e sullo svolgimento storico del
capitalismo, ma non ne conclude che il proletariato debba per questo rinunziare
alla rivoluzione e attendere per migliorare la sua situazione il lento
evolversi progressivo della società borghese, utilizzando per la sua
affermazione politica la democrazia elettiva.
Ma Bernstein
era più logico, perché capiva come da quella spietata critica economica si
potesse e dovesse arrivare al concetto di rivoluzione violenta e dittatura
operaia,- e quindi rinunziando alla premessa cadeva la conseguenza: per
Graziadei la conseguenza vive al di fuori delle premesse.
Noi non
facciamo il processo ora aIle individuali intenzioni di Graziadei, ma ci
chiediamo che cosa potrebbe rispecchiare, ove tendesse a diffondersi, il suo
sistema di opinioni. Su questa via di indagine ci spingono altri esempi. Lenin,
quando confutò la tesi di quei marxisti russi che pretendevano staccare il
socialismo dalle sue basi materialiste e costruirlo su una nuova concezione
filosofica idealistica, non solo demoli questa tesi in se stessa, ma dimostra
come quello stato d’animo proclive al misticismo derivasse dalla situazione di
disfatta e scoramento in cui il partito rossa si trovava dopo il 1905.
Ora ecco che
cosa noi pensiamo, non di Graziadei, ma di un indirizzo come quello che egli
prospetta quale risultato dei suoi studi di economista, e non ci vogliamo certo
per questo paragonare a Lenin ...
Non occorre
un grande sforzo per arrivare a giustificare teoreticamente la violenza
politica e la dittatura e il terrore rivoluzionario. Nel campo proletario, è
vera che queste tesi sono le più importanti tra quelle che distinguono noi
comunisti dai falsificatori socialdemocratici, opportunisti, del marxismo. Ma
in generale, riguardando tutti i campi politici, e tutto lo svolgimento
storico, si tratta di verità banali, che tutte le rivoluzioni hanno confermato,
e che la pratica di tutti i partiti ricalca in certe situazioni.
La borghesia
stessa ha conquistato il potere colle armi e lo ha difeso col terrore. Poi ha
proclamato che cessava la necessità di ogni analoga catastrofe, volta contro i
vincitori di allora: ma in questo non ha fatto che ricalcare le orme di tutte
le classi giunte a conquistarsi il potere... I democratici attuali, e gli
stessi socialdemocratici, come in Germania e altrove, non hanno esitato ad
impiegare in dati momenti la forza delle armi e la sopraffazione per difendere
il loro potere da attacchi rivoluzionari, come non escluderebbero di toglierlo
per tal guisa a una borghesia che distruggesse ogni garanzia di liberalismo
politico: salvo in pratica a trovar modo di fare i bassi servizi anche a una
tal classe dominante. E infine vi è oggi tutto il movimento fascista che
apertamente proclama e giustifica l’usa della violenza e la dittatura: da
destra s’intende. ln tutti questi casi vediamo che costa poco sforzo la tesi
che per rompere le corna agli avversari non è il casa di tenersi aIle omelie
pacifiste e agli scrupoli legali.
Questa tesi
fa parte anche delle nostre, con tanta maggiore sincerità e logica che per
tutti gli altri: ma essa non basta a definire il comunismo. Anzitutto questo
prevede che le condizioni poste dalla vittoria rivoluzionaria della classe
lavoratrice condurranno in una certa epoca ad un regime di convivenza sociale
assolutamente pacifica e senza contrasti di classe, e colla soppressione delle
differenze di classe aboliranno non solo ogni dittatura, ma ogni forma di
Stato.
Ed inoltre la
origine storica delle forze che il comunismo considera come realizzatrici del
processo rivoluzionario è strettamente legata alla situazione della classe
oppressa sotto il capitalismo, all’obiettivo di eliminare lo sfruttamento del
salariato, alla costituzione del partito di classe dei lavoratori in tutti i
paesi.
Questo
processo di formazione delle armate e deipoteri che maneggeranno la violenza e
la dittatura rivoluzionaria non si pua separare dalla lotta contro il capitalismo
e dai postulati della demolizione critica di tutte le sue manifestazioni.
Separare
queste parti della costruzione comunista vuol dire esporsi a dare ragione, in
nome del diritto del più forte, ad ogni banda di predoni che possa per
fortunate circostanze arrivare al potere, o a fornire a questa degli argomenti
giustificativi, anzitutto superflui, e in seconda luogo fritti e rifritti, da
quando Machiavelli ebbe il coraggio di confessare per iscritto quello che tutti
gli uomini dei partiti di governo pensano e praticano. Ma il partita del
proletariato pensa e pratica qualcosa di più di costoro, se pure è pronto a non
lasciarseli indietro nella decisione a colpire l’avversario. La politica del
proletariato resta definita dai suoi mezzi, ma anche e soprattutto dai suoi
fini: come è erroneo staccare il fme socialista dai mezzi rivoluzionari o
collocarlo alla fine di lunghe pratiche pacifiche e legali, così è
altrettanto erroneo svalutare le finalità socialistiche, la cui conoscenza e
valutazione è in rapporta diretto coi colpi che la nostra critica assesta
all’economia borghese, per attribuire valore decisivo ai soli mezzi, e quasi
alla esteriorità della loro tecnica.
Graziadei
arriva al di là di quei socialisti tradizionali che un bel giorno si sono
svegliati schiavi di sciocche, bambinesche formule umanitarie e democratiche.
Egli è, ci si permetta l’espressione nel suo buon senso, abbastanza cinico da
non lagrimare come un Turati sui violati diritti delle minoranze e la
disonorata civiltà dei costumi. Ma la sua attitudine di fronte a tutta la
costruzione unitaria del marxismo rivoluzionario ci dimostra come il suo
pensiero non aiuta e non segue lo sforzo mirabile della classe rivoluzionaria,
da quando, non ricca ancora di modemi mezzi bellici e di organizzati poteri,
nei primi gruppi precorritori tenta e saggia le mura implacabili della
fortificazione capitalistica.
Per Graziadei
il proletariato avrà ragione, avrà avuto ragione di vincere non risparmiando il
nemico: ma avrà avuto torto quando, spezzando faticosamente pregiudizi e
menzogne ufficiali, contro l’irrisione degli «scientifici», traeva dalla
critica al regime avverso i materiali percostruire il suo avvenire.
La posizione
di Graziadei è insostenibile. Noi non lo vogliamo offendere, ma solo dire che il
suo stato d’animo, ove fosse di natura collettiva, ci apparirebbe come quello
dei comunisti che sono tali a rivoluzione avvenuta. Ecco perché vogliamo
chiamare il suo revisionismo il «comunismo della sesta giomata».
Esiste il pericolo che sorgano di tali comunisti, da quando una grande rivoluzione comunista ha trionfato malgrado le ironie e lo scetticismo di costoro in altri tempi. Questi revisionisti potrebbero divenire i parassiti della ormai assicurata vittoria di tale rivoluzione, e su di essa agire pemiciosamente.
Ammirare i bolscevichi perché hanno saputo non farsi legare le mani da esitazioni imbecilli nel momento in cui bisognava colpire senza esclusioni càvalleresche, e congratularsi seco loro, è forse qualcosa, ma si riduce a niente quando si vuole poggiarsi un poco su quegli allori, ma non ripromettersi di seguire la via che seguivano i bolscevichi stessi negli anni terribili, quando ogni costruzione teorica, e organizzativa costava una battaglia, spesso sanguin osa, e la desolazione si stendeva spesso intomo alle grandi figure dei loro capi.
Io critico il compagno Graziadei solo per questo: per aver fomito armi teoriche a chi volesse con sì poca fatica meritare di assidersi tra le prime schiere vincitrici del proletariato.
Lo scetticismo in veste di cacadubbismo scientifico, e la parvità di spirito che si mostra riel preoccuparsi di non apparire «sorpassati» secondo le mode banali della scienza accademica, sono troppo lontani da quella disposizione alle lotte implacabili da cui noi dobbiamo trarre l’apologia della violenza e della dittatura rossa, gridata non dalle torri del Kremlino gloriosamente conquistate al proletariato, ma dalle non mena gloriose posizioni tenu te malagevolmente in faccia alla tracotanza dell’avversario tuttora dominante.
Perché quello
del proletariato che stroncherà gli ostacoli sulla via che mena alla società
nuova, non sarà il cinismo alla Machiavelli né l’egoismo di una vittoria
occasionale che possa aver nome da partiti o da capi, bensì la forza cosciente
di una classe giunta allo sbocco che si tracciò nella sua coscienza attraverso
anni di sofferenze e di ribellioni, attraverso esperienze ed insegnamenti che
le dettarono il diritto e il dovere, se si vuole, ma soprattutto la necessità
reale e scientificamente sentita di percorrere quella via che conduce alla
conquista dell’avvenire, come negazione rivoluzionaria di tutto il turpe
presente. Potrebbe passare attorno a noi ancora una volta la raffica della
sconfitta a toglierci ogni palpabile punta di appoggio nelle posizioni già
guadagnate: non per questo dovrebbe venir mena nel nucleo più fedele delle
nostre schiere la preparazione ideale e materiale alla lotta da rinnovare
incessantemente. Perciò noi- vogliamo radicata la nostra convinzione della
bontà delle armi che impugneremo senza esitare, sulle basi della costruzione
critica che ad essa ci condusse, sviscerando la natura della società borghese e
del suo necessario soccombere fin da quando essa appariva una imprendibile e
inviolabile fortezza. E ci pare che l’attitudine del compagno Graziadei, che
modestamente troviamo errata nel sua con tenuto intrinseco di discussione
scientifica, equivalga politicamente ad un rivoluzionarismo spurio e sospetto,
non alieno da pericoli ove si alimentasse tra gli elementi più deboli e
accomodanti della nostra milizia.
Ad altri stabilire, dopo tutto questo, se sia accettabile la dichiarazione di Graziadei, che la appartenenza ad un Partito comunista non lo impegni oltre la accettazione del programma svolto nel Manifesto dei Comunisti, al quale del resto lo consideriamo infedele per lati molto importanti. Il torto qui non puo essere tutto di Graziadei, ma anche di quell’indirizzo cui paiono incomode le troppo scrupolose e definite codificazioni programmatiche delle dottrine di cui consiste il comunismo; precisazioni che sono invece per chi scrive una vitale necessità del movimento, se questo non vuole trovarsi in certi momenti, tra altri gravi inconvenienti, in condizione di far passare come i suoi esponenti più ortodossi proprio quelli che ne stanno in equilibrio molto instabile sui margini estremi.
1. Si tratta di Prezzo e sovraprezzo nell’economia capitalistica, cit.
2. Cfr. Il Capitale, I, ed. cit., pp. 254-257.
3. Cfr. Il
Capitale I, ed. cit., pp. 40-41 (prefazione di Marx alla seconda
ed.): «La borghesia aveva conquistato il potere politico in Francia e in
Inghilterra. Da quel momento la lotta fra le classi raggiunse, tanto in pratica
che in teoria, forme via via più pronunciate e minacciose. Per la scienza
economica borghese quella lotta suono la campana a morto. Ora non si trattava
più di vedere se questo o quel teorema era vera o no, ma se era utile o
dannoso, comodo o scomodo al capitale, se era accetto o mena alla polizia. Ai
ricercatori disinteressati subentrarono i pugilatori a pagamento, all’indagine
scientifica spregiudicata subentrarono la cattiva coscienza e la malvagia.
intenzione dell’apologetica». Più oltre, a proposito del fatto che lo
sviluppo storico peculiare della società tedesca vi escludeva una originale
continuazione dell’economia politica borghese, Marx aggiunge che cio non ne
esclude lo sviluppo della sua critica: «Se e in quanta tale critica
rappresenta una classe in generale, può rappresentare solo la classe la cui
funzione storica è il rovesciamento del modo di produzione capitalistico e
infine l’abolizione delle classi: cioè il proletariato».
Partito comunista internazionale
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